Frankenphotography


Frankenophotographers #5: Rebecca Hinden

OCCHI ROSSI SUL PIANETA TERRA

Chiunque abbia intrapreso la strada dell’autocostruzione di attrezzature fotografiche, come ogni fotografo, sa bene quanto sia facile inciampare. Défaillance tecniche, cattive manipolazioni e incidenti sono sempre in agguato. È noto che gli errori non scarseggiano in fotografia, ma la loro definizione non è mai stata univoca. Professionisti, amatori, dilettanti e artisti si sono confrontati con quella che Man Ray amava chiamare Fautographie, fotografia-che-cade-in-errore, dandone la propria interpretazione e continuando a passare la patata bollente: cos’è corretto e cos’è sbagliato in fotografia? Dietro le definizioni tecniche si nascondono ben più importanti definizioni sociali, e ciò fa dell’errore fotografico una creatura mutevole e scaltra, vittima dell’occhio del fotografo e suo carnefice al tempo stesso. A un estremo troviamo il dogmatismo dei manualetti, all’altro il capovolgimento ideologico operato dagli artisti, che con un lavoro cosciente e certosino hanno esplorato l’intera gamma degli accidenti fotografici. In mezzo c’è di tutto, compreso il recupero dei refusi da parte della fotografia di moda.

La mappatura e la storia dell’errore fotografico sono già state sapientemente tratteggiate, e voglio segnalare l’interessante libro di Clément Chéroux L’errore fotografico: una breve storia, pubblicato in Italia da Einaudi. Voglio anche esprimere la mia opinione sull’argomento: credo che l’accidente sia uno degli elementi costitutivi della Frankenfotografia. Il progetto frankenfotografico, realizzandosi attraverso l’autocostruzione, presuppone un recupero consapevole di quelle conoscenze tecniche e di quei valori formali che la fotografia del volgo ha tralasciato, chiuso nel dimenticatoio, bistrattato. È in gioco la definizione del mezzo fotografico: medium trasparente, che nasconde i propri meccanismi e semplifica il lavoro del fotografo, o medium opaco, che non può prescindere dal palesarsi in tutta la sua complessità, versatilità, creatività. Non si tratta soltanto di restituire dignità a certi valori formali dell’immagine, a certi “difetti”, a certi formati (operazione già perfettamente realizzata dalla Lomografia), ma di liberare il meccanismo stesso del mezzo dai suoi dogmatici fardelli. L’accidente non è il risultato di un lapsus del costruttore-operatore, ma una manifestazione del suo sano e consapevole rapporto con la macchina! Bisogna evitare infiltrazioni luminose in macchina o bisogna ricercarle e apprezzarle? La domanda è sbagliata, ovviamente. L’autocostruzione è un processo di conoscenza, un processo che somiglia a un percorso ad ostacoli. A fondamento del proprio discorso Chéroux pone questa importante intuizione: “è nelle sue ombre, nei suoi scatti errati, nei suoi accidenti e nei suoi lapsus che la fotografia si svela e meglio si lascia analizzare”. Lo storico scommette apertamente “sull’errore fotografico come strumento cognitivo”. Per il frankenfotografo, che opera in un ambito diverso, rimangono aperte le porte della sperimentazione, del gioco sulle definizioni, sui codici, sugli effetti visivi, ma l’aspetto più importante è l’acquisizione della consapevolezza di quanto il procedimento “per errore” sia connaturato alla definizione del medium opaco, e una manifestazione di esso. Qualunque risultato si ottenga, non è necessario valutarlo in termini di correttezza, ma considerarlo una tappa del progetto autarchico: una forma di analisi (auto-analisi?), e un’affermazione di consapevolezza. Un alto grado di serendipità e una tabula rasa del giudizio devono considerarsi endemici, indispensabili, benvenuti.

Ed è così che gli occhi rossi, fuori dalle gallerie e dalle riviste patinate, arrivano sul pianeta Terra. Rebecca Hinden, giovane fotografa del Rhode Island, all’attività commerciale convenzionale affianca da sempre la sperimentazione fotografica. All’interno di questo percorso è giunta all’autocostruzione di macchine molto particolari, lavorando su più fronti. Il progetto che mi interessa presentare in questa sede porta avanti la riflessione sull’errore, cui abbiamo accennato: si intitola Red Eye Project, ed è stato concepito con l’obiettivo di massimizzare il “difetto” degli occhi rossi. Una parte del progetto prevede la massimizzazione dell’effetto nell’immagine: Rebecca ha costruito un marchingegno composto da moduli flash ricavati da macchine usa-e-getta, in grado di operare in sincrono con qualunque altro flash. Montata su una macchina 4×5, dotata di lente 360mm e di un’estensione a soffietto, il congegno assicura un optimum di occhi rossi nei soggetti ritratti in grande formato. Il settaggio prevede che lo studio sia il più possibile oscurato, in modo da provocare la dilatazione delle pupille del soggetto: pupille più grandi massimizzano l’effetto (ed è la prima volta che vedo sfruttare in fotografia il fenomeno fisiologico della midriasi)!

Il dispositivo sincro-flash costruito da Rebecca, montato sulla sua macchina 4x5

Rebecca è andata anche oltre nel coinvolgimento dell’occhio nella produzione del “difetto” fotografico. La seconda parte del progetto infatti consiste nella realizzazione di speciali “occhialini per vedere gli occhi rossi”. Proprio così! Indossando gli occhiali possiamo vedere gli occhi rossi di ogni interlocutore il cui sguardo si posi su di noi, senza macchina fotografica, non nell’immagine, ma nella realtà! Un ulteriore primato: per la prima volta un effetto/difetto fotografico si estranea dal meccanismo e invade la realtà. Occhi rossi sul pianeta Terra…

Gli occhiali per produrre occhi rossi

Per completezza segnalo anche un altro progetto di Rebecca, che ben rappresenta la sua volontà di abbattere ogni preconcetto riguardo cosa una macchina fotografica o una fotografia “dovrebbero essere”: la One Pixel Camera. Nomen omen, ammirate il risultato:

Un ritratto eseguito con la One Pixel Camera

La One Pixel Camera

Sui due siti di Rebecca tutti gli esperimenti, che comprendono anche tentativi di fotografia aerea fatta in casa e pellicole esposte all’elettricità statica:

http://www.beccahinden.com/

http://www.rebeccahindenphotography.com/

Tutte le immagini © Rebecca Hinden Photography